TRIBUNALE DI NAPOLI X Sezione civile Il Tribunale, in composizione collegiale, in persona dei giudici: dott. Michele Magliulo, Presidente; dott.ssa Giovanna Ascione, giudice rel.; dott. Ulisse Forziati, giudice; riunito in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza ex art. 669-terdecies C.P.C. nel procedimento n. 33205/16 R.G., avente ad oggetto reclamo avvero l'ordinanza di rigetto della sospensione di ingiunzione ex regio decreto n. 639/1910 emessa dal G.U. presso il Tribunale di Napoli, in data 27 ottobre 2016, riservato per la decisione all'udienza camerale dell'11 gennaio 2017 e vertente tra: Antares S.C. R.L, in persona del legale rappresentante p.t, elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Melisurgo, n. 4, presso lo studio dell'avv. Andrea Abbamonte, dal quale e' rappresentata e difesa in virtu' di procura in atti, reclamante; e Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Napoli, via S. Lucia, n. 81, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Testa e Elena Lauritano dell'avvocatura regionale in virtu' di procura in atti, reclamata; Fatto e diritto Con ingiunzione di pagamento prot. 244777 dell'11 aprile 2016 la Regione Campania ha ingiunto dall'art. 2 del regio decreto n. 639 del 1910 alla Societa' Consortile Antares a r.l. di pagare la complessiva somma di euro 249.559,46, di cui euro 232.094,00, a titolo di «restituzione degli importi erogati e non dovuti a seguito della revoca del contributo disposta con decreto dirigenziale n. 578/AGC 12 del 3 ottobre 2012», ed il restante importo a titolo di interessi. La societa' Antares a r.l. ha proposto opposizione avverso, la suddetta ingiunzione amministrativa, chiedendo al giudice, in via preliminare, di sospenderne gli effetti esecutivi e, nel merito, di accertare che nulla era dovuto alla Regione Campania, stante l'insussistenza dei presupposti per la revoca del contributo. Con ordinanza, resa all'udienza del 27 ottobre 2016, il G.U. ha rigettato la richiesta di sospensione «in carenza dei presupposti». Avverso la suddetta ordinanza, la Antares a r.l. ha proposto reclamo, con atto depositato in data 11 novembre 2016, insistendo per la sospensione dell'esecutivita' dell'ingiunzione amministrativa impugnata, ribadendo le proprie difese in punto di sussistenza del fumus bonis iuris e del periculum in mora e sottolineando l'assoluta carenza di motivazione dell'ordinanza di rigetto. All'udienza del 14 dicembre 2016, il collegio ha sollevato d'ufficio la questione dell'inammissibilita' del reclamo alla luce della lettera dell'art. 5 del decreto legislativo n. 150 del 2011, che definisce «non impugnabile» l'ordinanza che decide sull'istanza di sospensione e, dopo il deposito delle note autorizzate - con le quali la Antares a r.l., oltre a suggerire una lettura della norma in armonia con quanto previsto dalla legge delega, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto legislativo n. 150 del 2011, per violazione degli articoli 3 e 76 della Costituzione, all'udienza dell'11 gennaio 2017, si e' riservata la decisione. Tanto premesso si osserva: la questione di legittimita' costituzionale e' rilevante e non appare manifestamente infondata per i motivi di seguito esposti. Come e' noto, il giudizio di opposizione all'ingiunzione prevista dall'art. 2 del regio decreto n. 639 del 1910 e' attualmente disciplinato dall'art. 32 del decreto legislativo n. 150 del 2011 - «Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009 n. 69». Il suddetto articolo prevede l'applicazione del rito ordinario e, al comma 3, il potere del giudice di sospendere l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, secondo quanto previsto dal precedente art. 5. Il potere dell'autorita' giudiziaria adita di sospendere l'efficacia esecutiva dell'ingiunzione era gia' previsto dall'art. 3, commi 2 e 3, del regio decreto n. 639 del 1910. Il legislatore delegato e' intervenuto sulla sospensione, dettando una disciplina del relativo sub-procedimento comune agli altri casi in cui il decreto legislativo n. 150 del 2011 prevede la possibilita' di sospendere il provvedimento oggetto di opposizione. Il citato art. 5, al comma 1, stabilisce che il Giudice provvede sulla sospensione con ordinanza non impugnabile, «quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione». Al secondo comma e' prevista la possibilita' di sospendere l'efficacia esecutiva con decreto inaudita altera parte (da confermare nella prima udienza successiva con l'ordinanza di cui al comma 1), in presenza di un «pericolo imminente di un danno grave e irreparabile». Il collegio ritiene che il provvedimento che decide sulla sospensione abbia natura e struttura cautelare. Ed invero, la dottrina che ha affrontato l'argomento non dubita di tale natura, mettendo in evidenza che il sintagma «gravi e circostanziate ragioni» consente la sospensione solo in presenza dell'apparente fondatezza dell'opposizione e di un consistente pregiudizio in capo all'opponente. La natura cautelare del provvedimento e' data per presupposta anche nella relazione di accompagnamento del decreto legislativo n. 150 del 2011, che individua i presupposti della sospensione nella «ragionevole fondatezza dei motivi su cui si fonda l'opposizione» e nel «pericolo di un grave pregiudizio derivante dal tempo occorrente per la decisione dell'opposizione». Ancora, il rilievo dato dal secondo comma dell'art. 5 al «pericolo imminente di un danno grave e irreparabile» costituisce conferma della natura cautelare dell'ordinanza de qua, atteso che la funzione di neutralizzare un pregiudizio ai danni dell'opponente non puo' non essere comune ad entrambi i provvedimenti, soprattutto in considerazione del fatto che il decreto va confermato con l'ordinanza di cui al comma 1. Come evidenziato dalla dottrina, la differenza tra i presupposti dei due provvedimenti va ravvisata nel fatto che le «gravi e circostanziate ragioni» sottintendono un periculum in mora piu' lieve rispetto a quello correlato alla dimostrazione di un danno grave ed irreparabile. L'art. 5 definisce «non impugnabile» l'ordinanza che decide sulla sospensione. Con tale espressione, il legislatore delegato ha inteso privare le parti della possibilita' di impugnare la decisione interinale del giudice. La lettera della legge non lascia margini interpretativi al riguardo, come gia' sottolineato dalla dottrina e della giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Torino, sezione terza civile, ordinanza collegiale del 20 dicembre 2013). Inoltre, l'art. 5 costituisce norma speciale entrata in vigore in epoca successiva alla disciplina del rito cautelare uniforme, con conseguente deroga a quanto previsto dagli articoli 669-terdecies e quaterdecies codice di procedura civile. A chiusura del presente paragrafo introduttivo, occorre richiamare la costante giurisprudenza dalla Corte di cassazione in punto di natura dell'ingiunzione ex art. 2 del regio decreto n. 639 del 1910. Secondo il giudice di legittimita', la c.d. ingiunzione fiscale e' un atto amministrativo che «cumula in se' la duplice natura e funzione di titolo esecutivo, unilateralmente formato dalla pubblica amministrazione nell'esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e di autotutela, e di precetto» (cfr. Cass. n. 8335 del 2003, Cass. n. 24449 del 2006, Cass. n. 12263 del 2007). Inoltre, il detto potere di accertamento non implica che nel giudizio di opposizione l'ingiunzione sia assistita da una presunzione di verita', dovendo piuttosto ritenersi che la posizione di vantaggio riconosciuta alla P.A. sia limitata al momento della formazione unilaterale del titolo esecutivo, restando escluso - perche' del tutto ingiustificato in riferimento a dati testuali e ad un'esegesi costituzionalmente orientata in relazione all'art. 111 Cost. - che essa possa permanere anche nella successiva fase contenziosa, in seno alla quale il rapporto deve essere provato secondo le regole ordinarie dall'amministrazione opposta (cfr. Cass. n. 9989 del 2016). Da quanto sino ad ora esposto, risulta evidente per quale motivo la questione di legittimita' costituzionale che si intende sollevare con la presente ordinanza e' rilevante ai fini della decisione: previsione della non impugnabilita' dell'ordinanza impedisce al collegio di affrontare il merito del gravame proposto dalla CGS, in quanto, in applicazione della norma sospettata di incostituzionalita', il reclamo andrebbe dichiarato inammissibile. La questione di legittimita' costituzionale non appare manifestamente infondata sotto il profilo della violazione dei principi e dei criteri direttivi della legge delega ossia dell'art. 54 della legge n. 69 del 2009. La delega conferita al Governo aveva come scopo principale quello di ridurre e semplificare i procedimenti civili di cognizione rientranti nella giurisdizione ordinaria e regolati dalla legislazione speciale. A tal fine, il comma 4 dell'art. 54 della legge n. 69 del 2009, prevedeva i seguenti principi e criteri direttivi: «a) restano fermi i criteri di competenza, nonche' i criteri di composizione dell'organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente; b) i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile: 1) i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosita' dell'istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile; 2) i procedimenti, anche se in Camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall'art. 51 della presente legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilita' di conversione nel rito ordinario; 3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile; c) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b) non comporta l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile; d) restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonche' quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nel regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella legge 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprieta' industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206». Come si puo' agevolmente notare, la delega nulla prevedeva in tema di disciplina cautelare, tanto che la normativa contenuta nel capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile non risulta in alcun modo richiamata. Certo, la lettera c) del comma 4 escludeva l'abrogazione delle «disposizioni previste dalla legislazione speciale [...] finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», e in tale previsione e' possibile rinvenire la necessita' di conservare le disposizioni che prevedevano la possibilita' di sospendere l'atto amministrativo impugnato. Tuttavia, non vi sono elementi testuali per poter ritenere che il legislatore delegato potesse incidere sulla disciplina previgente, modificandola. Ebbene, l'art. 3 del regio decreto n. 610 del 1939 non qualificava come non impugnabile l'ordinanza che disponeva la sospensione del procedimento coattivo. Nella relazione al decreto legislativo n. 150 del 2011 si giustifica la scelta di prevedere e disciplinare il sub-procedimento di sospensione con la necessita' di coordinare le diverse disposizioni delle leggi speciali in tema di poteri di sospensione del giudice, ma l'esigenza di effettuare il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, esigenza richiamata dal comma 2 dell'art. 54, se correttamente intesa, avrebbe imposto l'applicazione del rito cautelare uniforme piuttosto che l'introduzione di una disciplina in deroga ad esso, in assenza di un qualsivoglia principio o criterio direttivo in tal senso e in violazione, come si vedra' a breve, di quanto previsto dall'art. 3 Cost.. Dunque, ricapitolando quanto sinora esposto, l'eccesso di delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost., si ravvisa per i seguenti motivi: a) i principi e i criteri direttivi non riguardavano il rito cautelare, ne' giustificavano l'introduzione di una disciplina speciale per i provvedimenti cautelari previsti dalla legislazione speciale oggetto del riordino previsto dalla legge delega; b) il legislatore delegato non poteva introdurre alcuna innovazione in ordine alle «disposizioni previste dalla legislazione speciale [...] finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile» e quindi non poteva introdurre alcuna previsione di non impugnabilita' in precedenza non prevista; c) il necessario coordinamento imponeva di estendere il rito cautelare uniforme anche ai provvedimenti cautelari previsti dalla legislazione speciale. Occorre ora spiegare per quali motivi la previsione della non impugnabilita' dell'ordinanza prevista dall'art. 5 del decreto legislativo n. 150 del 2011 violi l'art. 3 della Costituzione. Ad avviso del collegio, il legislatore delegato ha introdotto un'irragionevole disparita' di trattamento tra provvedimenti cautelari. A differenza di tutti gli altri casi di provvedimenti aventi natura e struttura cautelare, l'ordinanza in esame non e' impugnabile mediante il reclamo previsto dall'art. 669-terdecies codice di procedura civile. Tale speciale mezzo di impugnazione e', infatti, esteso dall'art. 669-quaterdecies codice di procedura civile agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali. Orbene, non vi e' alcun motivo per ritenere che le parti che agiscono ex art. 32 del decreto legislativo n. 150 del 2011 debbano essere private di un mezzo per ottenere una revisione della decisione cautelare resa dal giudice monocratico e cio' anche in considerazione delle gravi conseguenze che possono derivare dall'esecuzione di ingiunzioni di pagamento aventi ad oggetto rilevanti importi di denaro (nel caso di specie, l'importo ammonta a euro 232.094,00). Siamo in presenza di «un'incoerenza interna» alla disciplina della tutelare cautelare che la Corte costituzionale ha gia' ritenuto sufficiente per dichiarare costituzionalmente illegittimo il disposto degli articoli 669-quaterdecies e 695 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedevano la reclamabilita' del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli articoli 692 e 696 dello stesso codice (cfr. sentenza n. 144 del 2008). La discrasia e' ancora piu' evidente se si considera che, rispetto agli altri titoli esecutivi di natura stragiudiziale, l'ordinanza che, in sede di opposizione pre-esecutiva (c.d. opposizione a precetto), decide sulla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, oggi prevista dall'art. 615, comma 1, codice di procedura civile, e' reclamabile ai sensi dell'art. 624, comma 2, codice di procedura civile. Ed invero, come messo in evidenza da autorevole dottrina, il legislatore del 2005 ha introdotto uno specifico strumento di natura cautelare volto ad inibire l'esecuzione del pignoramento, sussistendone «gravi motivi». Sulla scia di tale ricostruzione, la piu' attenta giurisprudenza di merito considera ammissibile il reclamo avverso la suddetta ordinanza, in quanto: a) e' un provvedimento di natura cautelare; b) e' ad essa applicabile il disposto dell'art. 624, comma 2, codice di procedura civile, che non distingue tra ordinanza resa ai sensi del primo comma e ordinanza resa ai sensi del secondo comma dell'art. 615 codice di procedura civile; c) manca una previsione di non impugnabilita' (per un riepilogo delle decisioni favorevoli all'ammissibilita' del reclamo, cfr. Tribunale di Latina, ordinanza collegiale del 21 novembre 2016). Appare poi irragionevole che la possibilita' di proporre reclamo sia accordata con riferimento ad istanze di sospensione relative a titoli esecutivi giudiziali, mentre sia negata con riferimento all'ingiunzione amministrativa, avente natura di titolo stragiudiziale e come tale dotata di una portata di accertamento del diritto in contestazione di gran lunga inferiore, se non nulla (si richiama al riguardo la gia' citata Cass. n. 9989 del 2016). Infine, la dottrina ha sottolineato come la previsione della non impugnabilita' da parte dell'art. 5 crei una disparita' di trattamento anche con quanto previsto dall'art. 62 del decreto legislativo n. 109 del 2010 (Codice del processo amministrativo). La norma da ultimo richiamata prevede che contro i provvedimenti cautelari resi dal Tribunale amministrativo regionale e' possibile proporre appello al Consiglio di Stato. Dunque, confrontando le due discipline si giunge alla conclusione che rispetto ad alcuni provvedimenti amministrativi e' possibile ottenere, sempre in sede cautelare, la revisione della decisione del primo giudice, mentre per i provvedimenti amministrativi la cui opposizione e' regolata dal decreto legislativo n. 150 del 2011 non e' riconosciuta tale facolta' alle parti: se si considera che il decreto legislativo n. 109 del 2010 regola pure i casi di giurisdizione esclusiva, appare evidente la disparita' di trattamento tra ingiunzioni rimesse alla giurisdizione del giudice ordinario ed ingiunzioni rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In conclusione, ad avviso del collegio, l'art. 5 del decreto legislativo n. 150 del 2011, come richiamato dall'art. 32 del medesimo provvedimento legislativo, viola l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui qualifica come non impugnabile l'ordinanza che decide sull'istanza di sospensione, sottraendola in tal modo al disposto degli articoli 669-terdecies e quaterdecies codice di procedura civile. In conclusione, per i motivi in precedenza esposti, il collegio solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto legislativo n. 150 del 2011, come richiamato dal successivo art. 32, nella parte in cui non consente la proposizione del reclamo ex art. 669-terdecies codice di procedura civile avverso l'ordinanza che decide sulla sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ingiunzione emessa ex art. 2 del regio decreto n. 639 del 1910, per violazione degli articoli 76 e 3 della Costituzione.